Nei sotterranei dell’Accademia di Belle Arti è ancora custodito, sedimentato in uno spesso strato argilloso, il fango che nel 1966 si riversò per le strade di Firenze - e non solo - a seguito della piena d’Arno, causando ingenti danni anche al patrimonio storico-artistico. Un evento naturale, quello delle alluvioni, che gli esperti dicono destinato – purtroppo – a essere sempre più frequente a causa dei cambiamenti climatici.
Parte da questa considerazione, e da una riflessione profonda sugli effetti che i cambiamenti climatici hanno sulle nostre vite e sull’arte, il lavoro di ricerca di Massimo Cova, docente di pittura all’Accademia di Belle Arti di Barcellona, in residenza artistica all’Accademia di Belle Arti di Firenze con il progetto di mobilità internazionale Erasmus.
Attraverso uno studio storico sulle conseguenze dell’alluvione del ’66 su monumenti e opere d’arte, l'artista ha prima visitato i musei in cui oggi sono conservati i dipinti e le altre opere danneggiati dallo straripamento del fiume, poi ha rielaborato l’esperienza traumatica vissuta dalla città 56 anni fa in tre serie e un’opera pittorica in cui i protagonisti sono proprio gli elementi naturali. Così le acque dell’Arno, il fango dell’alluvione, le piante spontanee – trasformate in inchiostro ferro-gallico (da qui il nero del titolo) – sono stati sublimati, diventando essi stessi materia artistica.
Il progetto, che è durato circa sei mesi, ha coinvolto in alcune sue fasi anche un gruppo di allievi e le docenti Paola Bitelli e Silvia Donini. La mostra è allestita in Sala Ghiberti ed è visitabile fino al 10 giugno.